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Si può tornare indietro dal cloud? Ecco che cosa ne pensano i CIO italiani
Anzi, proprio ora con l’adozione dell’IA, il cloud appare ai CIO più che mai necessario nelle imprese che applicano l’intelligenza artificiale a un processo core, perché offre l’infrastruttura di supporto e la scalabilità. Diverso è se l’IA rappresenta il core business aziendale: allora è giustificato tenere i sistemi in casa, perché c’è più controllo e sicurezza sui dati.
Il cloud “ideale” per i CIO
Sicuramente il problema più sentito dai manager dell’IT è che, nel cloud, tutto è Opex o costo di esercizio, che impatta sull’Ebidta ed è altamente variabile. Per questo è necessaria una “cultura del cloud”: le persone devono sapere che, quando usano un servizio nella nuvola, stanno facendo crescere i costi dell’azienda. Ma come potrebbe evolvere il servizio dei vendor per rendere più semplice la gestione ai CIO?
L’abbassamento dei costi è in cima ai desiderata: “Il costo per risorsa è ancora alto”, evidenzia Ranieri, e in Europa, con l’aumento dei prezzi dell’energia, cresce sempre di più. Del resto, “fuori dall’UE non si può andare per via delle regole sulla privacy e la sovranità del dato”.
Un’altra richiesta è quella di una “interoperabilità tra i vari cloud provider, con un minimo dispendio di risorse operative, rendendo così i trasferimenti meno dispendiosi in termini di tempo”, prosegue Ranieri.
Per D’Accolti, “quello che resta problematico è una sorta di vendor lock-in del cloud: i fornitori hanno un’offerta as-a-service sempre più completa, e questo lega il cliente in un ecosistema da cui è difficile uscire”.
D’Accolti, però, evidenzia come, sia in AMA sia nella sua precedente esperienza lavorativa in Ferrovie dello Stato, l’adozione del cloud è stata parziale, quasi un “on-prem in cloud” o outsourcing, che dà all’IT una flessibilità negoziale a priori. “Io chiedo al data center una potenza elaborativa con un certo servizio, ma non è cloud. Costa di più, ma non ho sorprese sui costi”, afferma il manager.
Il futuro: XaaS ed edge computing
Molte aziende seguono questa strada che rappresenta un “cloud a metà”. Ma per altre il SaaS è una scelta perfetta: tutto dipende da qual è l’attività aziendale.
Per Caruso di Openjobmetis, il “tutto as a service” (XaaS) è l’opzione più desiderabile: “Per noi che non abbiamo il core business nell’IT, l’ideale è avere ogni applicativo come servizio, perché l’infrastruttura è una commodity, il cui impegno non rappresenta un valore aggiunto. Pensiamo a prodotti come Salesforce, disegnato per il cloud, ma anche a un’applicazione custom fatta in casa: per me la soluzione più conveniente sarebbe avere il progetto chiavi in mano in cui il software è dell’azienda, ma erogato in cloud come servizio”.
Questo aiuta anche a risolvere l’annoso problema dello skill shortage: “Avere un team che copra tutte le parti dell’IT – sicurezza, infrastruttura, networking, eccetera – è difficile, attrarre e trattenere i talenti è complicato. Il cloud risolve il problema e lascia a me la parte core del lavoro, che è la relazione con le funzioni del business”, dichiara Caruso.
David Linthicum, ex Chief Cloud Strategy Officer di Deloitte, ha affermato che, dopo anni di esperienza accumulata nella “nuvola”, molti CIO stanno ripensando il loro approccio, concentrandosi sulla specifica applicazione o carico di lavoro, e il trend è verso un’infrastruttura ibrida che combina on-premise, cloud e multicloud, hosting, servizi gestiti ed edge.
“In futuro andremo sempre più verso una combinazione di scelte tecnologiche”, conferma Giovanni Sannino, Head of Operations IT &Services di Sirti Digital Solutions. “Già oggi vediamo le aziende spostarsi verso opzioni distinte a seconda dei carichi di lavoro e della criticità delle operazioni. I CIO impiegheranno, quando possibile, dispositivi sull’edge che, grazie a microchip sempre più piccoli, veloci e con grandi capacità di calcolo, permettono l’elaborazione sul posto e in tempo reale, tenendo i dati in casa, mentre per altre operazioni saranno combinati il cloud e l’on-prem”.
Un’azienda manifatturiera, per esempio, che ha sensori IoT che generano e inviano tanti dati ambientali – temperatura, umidità, consumo di energia, e via discorrendo – ha convenienza a elaborare le informazioni all’edge, dove l’evoluzione dei microchip già permette di incorporare applicazioni di analytics e machine learning; poi passerà su cloud o on-prem solo le informazioni che serve centralizzare o che hanno necessità generali di elaborazione e storage.
“Questo nell’industria è un trend già in atto”, afferma Sannino, “perché permette di mantenere l’efficacia sulla linea di produzione, ma con macchine locali, senza software su cloud e infrastrutture pesanti che costano di più e non consentono la stessa velocità nel controllo di qualità e nelle azioni correttive”.
Ovviamente tutto questo aumenta la complessità per il CIO, perché i paradigmi tecnologici sono tanti e diversi, e il manager dell’IT dovrà avere le competenze per gestire un’infrastruttura composita. Ma potrà dare al business molto più valore.